presso Temple University
a cura di Susan Moore
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Una domanda
Franco Purini
Franco Purini
Flavia
Dodi si è dedicata interamente alla pittura solo da pochi anni, dopo la
conclusione dei suoi studi di architettura. In questo breve periodo essa si è
rivelata un’artista dotata di una notevole originalità tematica e di una
evidente maturità espressiva, qualità messe alla prova in alcune mostre nelle
quali ha presentato i primi risultati del suo lavoro. Con una progressione
ammirevole la giovane artista romana ha bruciato le tappe di un itinerario di
ricerca che richiede quasi sempre una durata molto più rilevante, pervenendo
attraverso un lavoro assiduo e profondo a un mondo concettuale e operativo del
tutto definito. Un mondo dotato di margini poetici esattamente tracciati. Il
campo da lei esplorato è quello di un’architettura che si fa avvincente
narrazione geometrica. I piani e i volumi procedono verso un’astrazione
assoluta facendo sciogliere le loro connessioni in una luce ferma e analitica.
Nella sua concezione della pittura l’architettura non assume alcun senso
metaforico. Essa è, e rimane, pura
costruzione, organizzazione di natura primaria di elementi semplici tenuti
assieme da una ritmica essenziale, una metrica rigorosa almeno quanto
molteplice e, complessa. Attenta ai problemi della costruzione della forma, Flavia Dodi non si fa però imprigionare da
intenti didascalici, rivolti a una declinazione illustrativa dei processi che
danno vita agli elementi rappresentati. Cubi, portici, tralicci, recinti
appaiono direttamente per quello che devono essere, soggetti spaziali e
cromatici che si sono liberati di quella tonalità metafisica che ogni oggetto
inevitabilmente sembra possedere. Soggetti pronti a esporre la propria semplice
volontà di esistere, inverata
soprattutto nella superficie e nel colore. La superficie duplica quella della
tela mentre il colore piatto replica a sua volta l’essenza planare del quadro, che in tal modo viene concettualmente
riaffermata. La superficie è organizzata secondo una matematica rinascimentale che evoca il mistero delle prime
costruzioni prospettiche; il colore ricerca acide timbricità che rinviano al
manierismo. Dominate da un senso dell’interruzione,
queste composizioni, anche se non si abbandonano al gusto del frammento,
evocano un coinvolgente non finito
che suggerisce ideali e urgenti completamenti. Dalle tele sembra emergere una
domanda alla quale è necessario rispondere. Si tratta di decidere se arrendersi
alla loro seduzione visiva o entrare con lo sguardo all’interno di ciò che la
composizione non mostra ma occulta nelle sue diverse stratificazioni, forse il
mistero della proporzione come arbitrio, come silenziosa sovversione.
ottobre 2011
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Flowers for lovers
mostra a cura di
Togaci
L'arte di Flavia Dodi muove da un'impostazione geometrica e progettuale tipica dell'architetto, che tende a misurare i volumi e studiare le forme collocandole in modo ineccepibile all'interno di una scena definita in ogni sua parte. La ricerca interiore dell'artista, durante la sua prima produzione, segue percorsi lineari, sottoforma di freddi edifici di dechiricana memoria. Scenari metafisici sembrano evocare progetti in autocad, dove, apparentemente, il distacco emotivo è la caratteristica preponderante. Tuttavia, per lo spirito non esistono contraddizioni, ma trasformazioni e sviluppi; mutare una direzione in arte non significa rinnegare tutto il passato, bensì allargarlo fino a compenetrarlo con un altro concetto estetico, scoprire nuovi rapporti ignoti, aprir meglio gli occhi per comprendere una somma maggiore di realtà. (C. Carrà, 1942)
Nell'ultimo anno Flavia ha aperto gli occhi, iniziando ad osservare in maniera diversa la realtà circostante, liberandosi dalla rigidità degli schemi imposti. L'attenzione verso la materia non è più plastica né geometrica. Luce, colori e variazioni tonali, prendono il posto delle ordinate forme geometriche, guardando alla natura e alla sua costante imperfezione.
Lo spazio non è più costruito scientificamente, ma prende forma dal colore, abbandonando la dimensione metafisica in favore di una personalissima forma di espressionismo, attraverso la quale lo spirito si ribella alla materia.
In Flowers for Lovers, l'artista compie un ulteriore passo avanti, misurandosi con le variazioni dei grigi, riuscendo a dar corpo alle immagini floreali attraverso piccole sfumature tonali in una perfetta alternanza tra toni caldi e freddi.
Le grandi dimensioni delle tele compiono l'ultimo passo verso un'arte liberata. I volumi ponderati e geometrici creati dall'uomo nel tentativo di modellare la realtà circostante sono solo un lontano ricordo.
L'opera diventa una celebrazione della natura libera ed indomabile, tanto da poter soggiogare l'uomo con le sue enormi proporzioni.
aprile 2013
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Ilaria Giannetti
Introspazi, una personale di Flavia Dodi a cura di Giulia Oliva alla
galleria Montoro. Tredici tele e sette
bozzetti su tavol di legno, una serie di acrilici architettonici testimoni di
una pittura che lavora sullo spazio dall’interno, dall’idea all’immagine,
attraverso il segno e il colore in continuità concettuale con il pensiero
teorico dell’arte astratta nelle sue molteplici accezioni figurative.
L’origine architettonica delle tele di Dodi, presente sul piano della
figurazione a partire dalle opere esposte nella sua personale d’esordio, Tra
ordine e Caos, si costituisce questa volta come un dispositivo concettuale in
grado di sostanziare gli aspetti figurativi diversi presenti nel suo lavoro. La
genesi di un paesaggio pittorico attraverso l’enunciazione delle leggi di
costruzione dello spazio architettonico, si configura come il tema di fondo che
permette di rileggere unitariamente le ricerca dell’artista. A partire da un
gene, da un gesto spaziale in grado di contenere le indicazioni di un processo,
il percorso ideativo dell’immagine risiede nella costruzione logica delle
relazioni che intercorrono tra gli degli elementi della composizione.
Protagonista delle tele di Dodi, architetto di formazione, è lo spazio urbano.
Uno spazio su cui l’artista lavora considerandone gli elementi primari, i
processi geometrici elementari tramite i quali esso si struttura nel tempo.
Ordinate a priori da una rigorosa misurazione del campo dell’opera, la
rotazione, la traslazione, la sovrapposizione mettono in scena una città
ridotta violentemente all’originaria componente astratta della sua forma.
Attraverso il sovrapporsi di campiture cromatiche piatte e geometricamente
definite da un tracciato regolatore che ordina concettualmente la composizione,
prende forma una città analitica, scevra di componenti puramente figurative
eppure perfettamente riconoscibile nei suoi elementi primari. La forma della
città, rimeditata tramite la geometria e il simbolo, si definisce, quindi, in
due filoni figurativi diversi presenti nella ricerca di Dodi. Un primo filone
geometrico per campiture bidimensionali timbriche o tonali fredde restituisce
una visione dove gli elementi dello spazio urbano appaiono ad uno ad uno
nell’oscillazione che esiste tra la seconda e la terza dimensione in un
continuo sovrapporsi di figura e sfondo. Attraverso le categorie della
trasparenza e della sovrapposizione si costruiscono figure palindrome che
possono essere lette con uguale semplicità come volumi o come campi, come
tracciati planimetrici o come scorci prospettici. Il secondo filone per solidi
primari accostati restituisce al contrario del primo una visione dove gli
elementi dello spazio urbano appaiono perentoriamente come masse opache, come
archetipi delle forme elementari attraverso le quali si costruisce
simbolicamente l’immagine della città. Attraverso le categorie dell’opacità e
della distanza si costruiscono scene fisse su sfondo bianco, evocative di
paesaggi urbani sospesi tra la dimensione reale e la dimensione virtuale.
Accomuna i due filoni una capacità illusoria dell’opera in grado di
disvelare la dimensione dell’immaginario pittorico astratto custodito dallo
spazio urbano, una dimensione in cui la geometria può diventare sentimento e
narrazione, geometria che è poesia altrettanto importante del volto reale della
città…
febbraio 2009
Gli Introspazi
Cristina Nisticò
Il 12 febbraio 2010 inaugura la mostra di “Introspazi” curata da Giulia Oliva alla Galleria Montoro di Roma dove
l’artista presenta una serie di acrilici.
Con un’ottima padronanza dello spazio pittorico e del
colore, Flavia riporta su tela quel che resta della tridimensionalità, ma solo
dopo un’attenta analisi bidimensionale del mondo da cui estrapola delle visioni
personali superando col suo sguardo ogni descrizione eccessiva, ogni ridondanza,
ogni particolare. Una sintesi visiva e percettiva di geometrica poesia.
Come scrive Flavia, la sua ricerca parte “dallo studio
volumetrico per poi orientarsi verso la ripetizione e l'utilizzo di un elemento
come gene di un sistema”. Questo gene, nella sua bidimensionalità, suggerisce
la terza dimensione attraverso accostamenti di forme colorate. Dal gene creato
da Flavia nasce un sistema che si nutre di eleganza e femminilità e lo
ritroviamo nei lavori pittorici e nei digitali, non presenti in mostra.
Lo studio è focalizzato quindi sull’elemento minimo che
genera un sistema, ricerca che riporta al De Stijl, a Mondrian e van Doesburgh.
Un altro aspetto avvicina Flavia Dodi a Mondrian: la musica. Per lei il jazz,
per Mondrian il boogie woogie.
La tecnica pittorica utilizzata dall’artista è vicina a
quella di Sol Lewitt in alcuni dei suoi Wall Drawings, fatta di masse
geometriche colorate il cui accostamento definisce l’intero organismo
dell’opera. Una caratteristica che ci ricorda l’attività parallela di Flavia è
l’uso delle squadre per riportare l’istinto libero e incondizionato dello
schizzo sulla tela più meditata.
Il lavoro di Flavia ricorda i nuovi talenti artistici
giapponesi il cui senso estetico nasce dalla sintesi del reale, così come da sempre
è stato nella loro tradizionale pittura a inchiostro conosciuta con il nome di
sumi-e (), ma ponendo sullo stesso piano passato e futuro. Gli accostamenti dei
colori ricordano infatti le incantevoli illustrazioni di Hideo Anze mentre le
astrazioni architettonico-urbanistiche di Flavia sono le amiche occidentali
delle opere di sintesi lineare di Yohei Sano.
Gli introspazi di Flavia nascono quindi dall’osmosi tra
l’artista, il suo tempo e il suo ambiente, in questo caso specifico la città e
le sue strutture, i luoghi, i ricordi e le percezioni. In questo habitat
metropolitano Flavia riesce a trovare un universo sensibile, poesia, colore,
vita.
I suoi “introspazi” per l’appunto.
febbraio 2009
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Un esordio
Franco Purini
[...]Osservando le tele oggetto della sua prima mostra,
è facile constatare come il tema che esse esprimono consista nella
trasmutazione della tridimensionalità
architettonica nella bidimensionalità
della pittura. In questo passaggio lo spazio, se perde la sua profondità
reale, acquista una serie di valori concettuali, simbolici e metaforici
esaltati dalla convenzionalità della rappresentazione. I volumi si traducono in
superfici omogenee che si compenetrano in un gioco di trasparenze tendente
all’astrazione, anche se questa processualità costruttiva, che dà vita a stratificazioni immateriali, a velature
incorporee e a dissolvenze incrociate tra elementi, lascia visibile l’origine
architettonica dei soggetti. Cromaticamente sospese tra atmosfere tonali e
modulazioni timbriche, le tele di Flavia Dodi sono caratterizzate da una apprezzabile
solidità di impianto risolta in composizioni proporzionalmente precise, dal
disegno accurato e essenziale immerso in una dimensione matematica, che ricorda le atmosfere rarefatte e misteriose di Luca
Pacioli. Oltre a una ispirazione logico-ideale, questi dipinti propongono
tematiche neo futuriste. In effetti i
quadri di Flavia Dodi evocano la simultaneità di diverse presenze spaziali,
l’accelerazione delle forme e il dissolversi dinamico delle stesse forme in una
moltiplicazione di piani prospettici. Infine queste opere si interrogano con
una intenzionalità poetica su ciò che separa la descrizione dal senso,
ovvero su quella presenza-assenza che
è intrinseca a ogni manifestazione linguistica. In sintesi questo esordio
dimostra qualcosa di più del possesso di un talento sicuro, seppure ancora
troppo poco esplorato da chi lo possiede per anticipare le sue future
evoluzioni. Le opere esposte testimoniano infatti di una maturità figurativa
già raggiunta, che in futuro dovrà essere messa alla difficile prova della
continuità tematica, della consapevolezza della scrittura pittorica, della verità delle motivazioni.
Roma, giugno 2009